Genova, 6 gennaio 1898. Per la prima volta, a Ponte Carrega, un pallone viene utilizzato per essere calciato, da ventidue uomini, in Italia. Ad affrontarsi sono il Genoa, e la Rappresentanza Torino. I torinesi vincono per 1 a 0, sugli spalti un giovanissimo undicenne assiste alla gara. Per arrivare fino a lì ha venduto i libri di Latino: si chiama Vittorio Pozzo, e in quel giorno si innamora di uno sport che renderà celebre in tutta la penisola.
Il giovane Pozzo cresce giocando a calcio, in un paese in cui è stato esportato da poco dagli inglesi. Il suo amore per questo sport, lo porta ad amare e studiare anche l’Inghilterra, che l’ha inventato, e a capirne i segreti. Da calciatore, non fu straordinario, militò in una squadra svizzera, il Grasshoppers, ma soprattutto per 5 anni nel Torino, il suo Torino, da poco fondato.
Quando termina la sua breve carriera sul campo, diventa il primo commissario unico della storia della nazionale di calcio italiana. Ha 25 anni, ma è già visto da tutti come l’unico che può ricoprire quel ruolo, ma lui lo fa ad una sola condizione: non vuole essere retribuito, e non lo sarà mai, da allenatore dell’Italia. Persone vicine a Pozzo racconteranno che lui non voleva essere pagato, perché così nessuno avrebbe mai potuto comandarlo, e pretendere da lui qualcosa.
LA GRANDE GUERRA
Pozzo partecipa alla prima guerra mondiale come tenente degli Alpini, e l’esperienza al fronte, in trincea, lo segna profondamente. Il suo carattere mite ma severo si rinforza ancora di più, inoltre rivestendo un ruolo di notevole importanza impara ancora di più a prendersi responsabilità, e a prendere decisioni.
Durante la guerra non la smette, comunque, di pensare al calcio, ai suoi schemi, alle sue storie, e alla sua semplicità. Venditue uomini che si affrontano, una palla, un arbitro, nessuna nuova arma, nessuna bomba, nessuna battaglia. Solo uno sport, che mette gioia ai grandi, e ai piccoli.
Così, nel 1921, la Federcalcio lo incarica di studiare un progetto per rifondare il calcio italiano, ma il suo tentativo di mediazione fra grandi e piccole squadre fallisce, e dopo tre anni, guida la spedizione alle Olimpiadi francesi del 1924. L’Italia perde ai quarti, e lui si dimette. Ma tornerà.
IL METODO
L’Italia nel frattempo è cambiata, velocemente. Il 31 ottobre 1922 Benito Mussolini instaura la dittatura fascista, pochi giorni prima con la marcia su Roma avevo imposto l’aut-aut.
Il calcio è al centro della propaganda del regime, come è al centro di ogni regime dittatoriale. I calciatori vengono visti come i gladiatori moderni, e quel governo, che tanto voleva ispirarsi alla gloria dell’Impero Romano, non può fare a meno di notare la grande affinità fra le arene romane, e gli stadi di calcio.
Vittorio Pozzo, però, nonostante sia un grande patriota, e un nazionalista, pensa al calcio, sempre al calcio. Studia, impara, ma soprattutto inventa: il commissario tecnico della Nazionale italiana ha deciso che schiererà la sua squadra con il metodo, il 2-3-2-3, un modulo innovativo.
Un portiere, ovviamente, due centrali difensivi, un centromediano metodista a sostegno della difesa, e due mediani, una sinistra e uno a destra, avanzati di qualche metro. Le due mezzali, sono nella terza linea, e generalmente sono gli uomini più fantasiosi della squadra, mentre in appoggio all’attaccante unico, ci sono le due ali.
Per Pozzo questo modulo è perfetto per l’Italia: da più importanza alla difesa, e ai contropiedi veloci, e di meno rilievo sono l’eleganza e il gioco palla a terra. Come dargli torto?
Vince il propagandistico Mondiale del 1934, giocato in Italia, si impone a Berlino, alle Olimpiadi naziste, due anni dopo, giocando con una squadra di studenti, e non di professionisti (era imposto dal regolamento), e vince la medaglia d’Oro, e poi ancora due Coppe Internazionali (antenate del moderno Europeo), nel 1930 e nel 1935, e chiude con il suo capolavoro: il Mondiale del 1938, in Francia.
Il suo metodo è vincente, in tutto e per tutto. Le squadre di mezza Europa lo imitano, e lui allena una generazione di calciatori unica: la sua nazionale del ’34 ruota attorna al centro metodista della Roma, Attilio Ferraris IV, in quella di quattro anni dopo, invece, sta crescendo un attaccante prolifico come Silvio Piola, e Giuseppe Meazza spicca su tutti, sulla mediana.
Ad oggi, nessun allenatore di calcio ha vinto quanto lui con una nazionale, con una tale continuità. Nessuno ha vinto due mondiali consecutivamente.
METODO VS. SISTEMA
Nel frattempo, però, nella sua Torino, è arrivato un altro modo di giocare, che è molto di tendenza. Vittorio Pozzo continua a vincere, anche dopo il ’38, ma dopo il primo storico Scudetto della Roma testaccina, comincia il dominio del Grande Toro. Nel 42-43 arriva il primo Scudetto, poi dopo la pausa per la seconda guerra mondiale (che scaverà un grosso solco anche nelle vicende personali del tecnico italiano, che si iscriverà al CLN), il Toro vince per altri 3 anni.
I ragazzi del grande Torino formano l’ossatura della Nazionale di Pozzo, ovviamente, capitanati dal grande Valentino Mazzola. Ma nel glorioso club della città della Mole qualcosa è cambiato: il Metodo è ormai considerato antico, troppo legato alla storia, la novità è il sistema. Il fuorigioco è passato da tre, a due, in Inghilterra l’allenatore dell’Arsenal, Chapman, ha deciso che è dannoso tenere solo due uomini in difesa, il centro metodista scompare, e si passa a 3, i due mediani sono più vicini alla difesa, e le mezzali diventano calciatori completi, non solo giocatori di attacco, ma anche di supporto. Da 2-3-2-3, a 3-2-2-3. Sembrano solo numeri, ma cambia veramente tutto.
L’Italia di Pozzo non si adatta più al calcio moderno, la batosta definitiva arriva il 16 maggio 1948. Nella sua Torino, perde 4-0 contro gli Inglesi. La Federcalcio ha deciso che è ora di mettere fine alla grande avventura di Vittorio Pozzo come commissario tecnico.
UNA FINE SALVIFICA
Pozzo litiga con la Federcalcio, è ancora convinto di poter dire la sua, ma alla fine la panchina passa a Ferruccio Novo, che era anche presidente del grande Torino. Insomma, il conflitto di interesse è chiaro, e Pozzo non vuol più avere a che fare con i dirigenti della nazionale. Torna a fare il giornalista per La Stampa, continuando a parlare di calcio. A distanza di un anno, quel litigio, gli salverà la vita.
Il 27 febbraio 1949 arriva a Genova (ancora Genova), il Portogallo di capitan Ferreira. Un grande calciatore, con grossi problemi economici. L’Italia sconfigge i portoghesi per 4-1, ma la gara per Mazzola e compagni è veramente amichevole. Fra Valentino, e Ferreira, c’è una grande amicizia che li lega, così il capitano del grande Torino ne approfitta per organizzare un’altra amichevole, che si giocherà a Maggio. Questa volta però non sarà una gara fra nazionali, ma fra club: Benfica, e Torino. L’incasso sarà devoluto, curiosamente, a Ferreira e la sua famiglia.
Sull’aereo che porta il Torino a Lisbona, ci sono però 3 posti liberi, e prima della partenza, come prassi, la società torinese invita tre giornalisti della stampa locale, per La Stampa, viene designato Vittorio Pozzo, ma non si può accettare quella figura così ingombrante sull’aereo: lui quei ragazzi li conosceva, lui li aveva allenati.
Il 4 maggio 1949 Pozzo viene chiamato d’urgenza, raggiunge le colline di Superga. Al più grande allenatore della storia della nazionale italiana viene affidato l’ultimo, triste, compito: riconoscere i corpi dilaniati dei calciatori del Grande Torino.
Lui li aveva allenati, li aveva visti negli spogliatoi, li conosceva così bene. E poi, se non lui, 31 famiglie avrebbero dovuto compiere quel cammino così terribile, per riconoscere i propri cari. Il commendatore Vittorio Pozzo fra le lacrime svolse il suo compito, per poi dileguarsi.
Pronuncerà lui l’elogio funebre ai funerali, ma da quel momento in poi, si defilerà dal grande vocio del mondo del Calcio.
Alcuni dicono di averlo visto in giro per l’Italia a seguire partite, anche superati gli 80 anni, a telefonare ai giornali e mandar loro le cronache, ma della sua carriera dopo Superga fece poca cosa, con un altro decennio passato nel mondo del calcio, in qualità di consigliere nel direttivo tecnico, alla creazione del Centro Tecnico Federale di Coverciano.
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