Roma – 3 marzo 2018: la Juventus è inchiodata sullo 0-0 all’Olimpico, contro la Lazio, e rischia di scivolare a quattro punti dal Napoli, impegnato poche ore dopo contro la Roma. All’ultimo secondo Paulo Dybala prende palla sulla trequarti, salta un avversario, resiste alla carica di Parolo e segna un gol che si rivelerà decisivo per la corsa Scudetto, capitalizzando l’unico tiro in porta della “Vecchia Signora” (il Napoli perderà 4-2 contro i giallorossi).
Roma – 8 novembre 2020: una delle migliori Juventus della stagione sta battendo la Lazio sul terreno di casa, dopo aver concretizzato grazie a Cristiano Ronaldo un vantaggio che sta legittimando sul campo, per aver cercato la porta avversaria in ben cinque occasioni e aver fallito a più riprese il raddoppio. A 15 secondi dalla fine Dybala (sempre lui) regala una rimessa laterale sulla propria trequarti dalla quale nasce il pareggio di Felipe Caicedo.
“Il calcio è fatto di dettagli”, soleva dire uno dei protagonisti della nostra storia, e allora è doveroso tenere a mente queste due istantanee per giudicare in maniera meno severa l’operato di Andrea Pirlo da Brescia, per molti diventato uno dei principali artefici del fallimento della Juventus quest’anno.
I bianconeri hanno lasciato al Bentegodi di Verona altri due punti, abdicando forse definitivamente alla corsa Scudetto. Una “pausa” naturale ed accettabile per chi vince ormai da nove anni di fila e ha ora bisogno di tempo per rigenerarsi.
Eppure, l’inquisizione popolare non ha dubbi: Andrea Pirlo va esonerato. Allegri può essere il solo in grado di salvare la stagione.
L’uomo sbagliato nel momento sbagliato
Chi esprime giudizi così netti non ha forse la lucidità necessaria per analizzare i contesti in cui i due allenatori si sono trovati a subentrare. Allegri ereditava una squadra vincente: La Juventus di Pirlo (ipse), Vidal, Pogba era una squadra già rodata da un triennio di vittorie. Un gruppo maturo che aveva bisogno solo di acquisire uno status internazionale cui Allegri, va precisato, ha contribuito raggiungendo due finali di Champions
Andrea Pirlo si è trovato, quasi per caso, a gestire un gruppo stremato da nove anni di vittorie, che aveva già cominciato a denunciare crepe strutturali (sulle quali torneremo) da almeno tre anni. Di più: Allegri aveva nel suo background uno Scudetto vinto alla guida del Milan. Pirlo è un neofita della panchina, che si è trovato a gestire la squadra più importante d’Italia perché, diciamocelo, la società non era stata capace di trovare altre soluzioni (la chiamano programmazione).
Dopo nove Scudetti consecutivi, l’ultimo dei quali vinto soffrendo con un solo punto di vantaggio, ci voleva un uomo d’esperienza internazionale che sapesse gestire un gruppo di campioni ormai sazio e tenerlo sempre concentrato, sul pezzo.
Da qui nasce la convinzione che Pirlo sia l’uomo sbagliato al momento sbagliato: il suo ruolo naturale, e anche quello più redditizio visti i tanti giovani lanciati in prima squadra (ben 5), era quello di generale capo dell’Under 23. Dalla sua aveva idati anagrafici (ha solo 42 anni ed è alla prima esperienza in panchina), e idee coraggiose: la voglia di comandare il gioco attraverso il possesso palla, cui avrebbe potuto abituare la nuova generazione bianconera prima di compiere il grande salto in prima squadra e trasferire lì i suoi concetti (come fatto da Guardiola a Barcellona).
Assenze che pesano e Ronaldo dipendenza
Insomma: Pirlo avrebbe potuto riempire di senso il progetto della squadra B bianconera. Invece si è trovato a gestire qualcosa più grande di lui e, come spesso accade in Italia, gli è stato chiesto di ottenere tutto e subito. Per lo più in un anno particolare. Il Covid ha imposto nuovi ritmi alla stagione, costringendo le squadre ad affrontare tante variabili nuove: dalle tante positività al virus, che hanno reso indisponibili diversi giocatori, a una preparazione accelerata, che ha aumentato l’incidenza degli infortuni.
La Juventus ha sofferto particolarmente quelli di Paulo Dybala ed Alvaro Morata. L’argentino, uno dei giocatori più decisivi della scorsa stagione coi suoi 17 gol, ha giocato appena quattro partite per intero, Senza di lui manca una variabile impazzita in grado di creare scompiglio nelle difese avversarie. Senza Morata, 9 gol e 10 assist in stagione, sembra mancare un vero e proprio riferimento offensivo che sappia buttarla dentro quando serve.
Così il gioco della Juventus passa troppo spesso, o quasi esclusivamente, per i piedi di Cristiano Ronaldo che, costretto spesso a costruirsi le occasioni da solo per mancanza di rifornimenti, non riesce sempre a graffiare come dovrebbe.
Il portoghese ha segnato oltre il 43% dei gol totali della squadra in campionato. Nessun attaccante, neanche lui in quest’ultimo biennio, aveva fatto meglio nelle nove stagioni precedenti.
Centrocampisti che non segnano
Ai numeri stratosferici (ma limitanti) di CR7 fa da contraltare un centrocampo che fatica a segnare, o meglio, a concludere in porta. McKennie, Bentancur, Rabiot e Ramsey hanno segnato otto gol in tutto tra campionato e coppe. Sorprende sapere che Goretzka-Kimmich, coppia di mediani del Bayern (che annovera un ex terzino) ne ha segnati 9.
Ciò che preoccupa di più, dicevamo, è il numero di conclusioni verso la porta delle mezzali bianconere: 32 in quattro, otto a testa di media in tutto il campionato.
Anche ieri, col risultato appena fissato sull’1-1, Bentancur ha l’occasione di provare a puntare e calciare verso la porta, invece perde il tempo di gioco ed è costretto allo scarico verso Ronaldo, che spreca l’azione trovandosi la strada sbarrata da un difensore avversario.
Osservare come il neppure diciottenne Musiala, al suo debutto europeo, abbia segnato in una situazione simileil gol che ha dato la mazzata decisiva alla Lazio.
Possibile sia una questione di personalità? Siamo più propensi a credere si tratti di scarsa consapevolezza/fiducia nelle proprie capacità. Fiducia che deriva da un gran bagaglio tecnico. Lontani i tempi in cui “El Guerrero” Vidal segnava caterve di gol (ben due campionati in doppia cifra) e trascinava con la sua grinta tutta la squadra. Anche Allegri, nei primi anni della sua gestione, giovò di un centrocampo piuttosto prolifico. Senza scomodare i “big” Vidal e Pogba, e volendo mantenere il confronto con una coppia di mediani, si può fare riferimento alla stagione 2016-17, quando il duo Pjanic-Khedira segnò ben 10 gol in campionato. I quattro scudieri del centrocampo di Pirlo, a tre quarti di stagione archiviata, hanno superato di poco la metà.
Un’Inter che corre
Riavvolgiamo un attimo il nastro e torniamo a quel 2018: la Juventus ha appena effettuato il sorpasso sul Napoli e si è portata a +4 dopo il pareggio dei partenopei contro l’Inter. Ma già un paio di giornate dopo viene bloccata sullo 0-0 dalla Spal, in una gara che l’ha vista tirare solo tre volte in porta.
Il Napoli di Sarri pare approfittarne vincendo col Genoa, ma già la partita successiva pareggia a Sassuolo e dilapida gli sforzi compiuti per riavvicinarsi. L’incostanza nel rendimento è sempre stata un tratto distintivo delle antagoniste bianconere fino ad oggi. Fino all’avvento dell’Inter di Conte. Una squadra ben strutturata, che ha ricevuto in dote dall’ultimo mercato proprio i giocatori funzionali alla sua idea di calcio.
Il 3-5-2 contiano appare una macchina inarrestabile, che macina punti ed avversari. Oltre a un distacco già importante (10 punti, potenzialmente 7), si ha la netta impressione che difficilmente i nerazzurri lasceranno spiragli aperti per la rimonta.
Allegri potè permettersi il lusso di perdere lo scontro diretto in casa contro il Napoli (senza mai tirare in porta), farsi ravvicinare a -1 e trovarsi sotto di un gol in superiorità numerica, a San Siro, così da vedersi ad un passo dal baratro. A tirare su la Juventus dall’abisso fu un certo Gonzalo Higuain (quanto ne avrebbe bisogno ora la “Signora”), con un gol insperato negli ultimi tre minuti. Sicuri che Pirlo possa sognare un epilogo simile?
I momenti di difficoltà della gestione Allegri e come la Juventus li ha superati
Ci sono poi stati momenti in cui anche l’esperto Max ha sentito tremare la terra sotto i piedi. È successo in almeno un paio d’occasioni: una, il 2018, l’abbiamo già ricordata. L’altra, il 2016, coincise con l’anno di grazia del “Pipita” Higuain, e con la partenza peggiore nella storia della Juventus in campionato. Mentre Gonzalo trascinava i partenopei a suon di gol (saranno 36, più di Nordhal), la Juventus allegriana, priva di due pezzi da 90 come Pirlo e Vidal in mediana, annaspava a metà classifica, con appena 12 punti racimolati nelle prime 10 giornate. Proprio il lento e inesorabile smembramento del centrocampo, accompagnato dall’incapacità di trovare sostituti all’altezza, è stata la causa principale del declino di questa squadra.
Certo, il resto è storia e ci parla di una rimonta epica, suggellata da 25 vittorie e un solo pareggio nelle restanti 26 giornate. Ma il punto è un altro: la società, percepito il pericolo, mise mano al portafoglio strappando alle rivali più accreditate (Roma e Napoli) i loro giocatori migliori (Pjanic e, appunto, Higuain). Lo stesso avrebbe fatto nell’estate del 2018 quando, con un altro investimento faraonico (112 milioni per l’acquisto e 30 d’ingaggio), strappò al Real Madrid nientemeno che Cristiano Ronaldo.
Insomma: le operazioni di mercato, che avessero risolto o solo insabbiato le deficienze strutturali della rosa, erano valse alla Juventus un altro biennio di dominio incontrastato.
Difficile concepire una simile strategia quest’anno, quando Pirlo è stato preso in corso d’opera (quindi non ha potuto progettare la squadra a sua immagine e somiglianza), e la rivale principale s’è tenuta stretta i suoi gioielli, convinta a lavorare nel solco della continuità.
Conclusioni
La continuità: quello che ci si aspetta abbia voglia di perseguire la Juventus. Scegliere Pirlo è stato un azzardo, che per certi versi ha pagato (già un trofeo in bacheca e ancora in corsa su due fronti). Silurarlo sarebbe un errore imperdonabile. La Juventus deve avere il coraggio di riconfermarlo o la lungimiranza di gestirlo, magari retrocedendolo alla guida dell’Under 23 per dargli il tempo di maturare, affidando la prima squadra alle cure di un tecnico più esperto. Ne va della corenza delle idee e di un progetto. Per non dare ragione al malcontento popolare che già invoca la testa di allenatore e dirigenti.
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