I bianconeri falliscono la rimonta contro il Porto e sono costretti a dire addio al sogno Champions. Con Ronaldo mai oltre i quarti e per la società juventina è il momento di porsi qualche domanda.
Game over, fine dei giochi. La Juventus esce agli ottavi di finale di UEFA Champions League dopo una rocambolesca e folle partita di ritorno, durata più di 120 minuti e che, alla fine, ha reso vana la rimonta dei tempi regolamentari e ha dato ragione al Porto di Sergio Conceicao.
Il 3-2 finale è emotivamente difficile da digerire per il popolo bianconero che durante tutto il corso della partita ha avuto la sensazione di essere sempre ad un millimetro dall’impresa che avrebbe dato l’accesso ai quarti alla Juventus.
L’altalena di emozioni offerte dallo Stadium poteva risolversi in più occasioni: il palo di Chiesa, la traversa di Cuadrado, il fuorigioco di Morata. Eppure, la verità è un’altra e racconta che, nel corso di entrambe le partite, la squadra di Pirlo non è mai stata, neanche lontanamente, in grado di poter ambire alla qualificazione finale.
L’estro e la grinta di Federico Chiesa non potevano, da sole, giustificare una doppia prestazione scadente sia dal punto di vista tattico, sia dal punto di vista tecnico.
L’aggrapparsi alle qualità di un giocatore alla prima esperienza in Champions League non può che essere sintomo di una Juventus disperata e che poteva risolvere il confronto solo grazie alla genialità di un singolo e non per vera concretezza corale.
Basta poco per capire che la Juventus ha meritato ampiamente l’eliminazione: i bianconeri si sono svenati per far gol, dragoes hanno semplicemente sfruttato gli errori banali che gli avversari hanno offerto.
La Juve esce per un retropassaggio goffo, una mancanza di attenzione ad inizio secondo tempo, un calcio di rigore e una scellerata piroetta di Ronaldo in barriera. Questi sono errori tanto fatali, quanto esplicativi del fatto che una squadra così non può andar lontano in una competizione come la Champions e non è la prima volta.
In tre anni la squadra bianconera non ha mai vinto un’andata delle fasi eliminatorie ed è uscita contro tre squadre assolutamente meno attrezzate dei torinesi. L’unica scusante va alla sconfitta contro l’Ajax che quell’anno è arrivata ad un passo dalla finale giocando un calcio meraviglioso e la Juve si fece travolgere.
Quell’anno, in panchina c’era Massimiliano Allegri (artefice delle ultime due finali di Champions giocate dalla Juve) che venne additato come difensivista, cultore del non gioco, principale causa dei problemi bianconeri; lo stesso anno venne allontanato Beppe Marotta perché aveva punti di vista diversi rispetto alla società. La verità è che la Juventus non aveva bisogno di tanti fuoriclasse in campo, con due figure così nell’organigramma tecnico.
Dall’anno dell’addio di Allegri e Marotta, la società bianconera ha dovuto fare i conti con mille contraddizioni e mille problemi. L’arrivo di Sarri per vincere subito, rinnegato 12 mesi dopo a causa dell’eliminazione con il Lione (nonostante lo scudetto vinto), doveva essere l’inizio di una nuova era, ma Agnelli non volle aspettare, prendendo al balzo il rapporto non idilliaco dell’allenatore con i tifosi.
La Juve ha voluto cambiare per vincere subito, ma l’arrivo di Pirlo è la prima grande contraddizione. Il tecnico, ieri, ha detto di essere tranquillo e fiducioso perché il suo è un progetto a lungo termine e con tanti step (e allora perché non aspettare Sarri?). L’unica cosa lampante agli occhi dei tifosi sono i numeri discendenti dall’addio di Allegri che aveva fatto della Juventus una squadra perfetta e intelligente che mai avrebbe concesso al Porto la bellezza di quattro regali.
Altra cosa chiara e, volutamente, provocatoria da dire è che, ieri sera, se Ronaldo non fosse sceso in campo la Juventus avrebbe avuto più possibilità di vincere.
Tralasciando l’importanza del giocatore e l’orgoglio di vederlo in Italia è da sottolineare come la prova del giocatore portoghese sia stata deficitaria. Il numero 7 non ha mai saltato l’uomo, è stato evanescente nelle giocate e difettoso negli stop ed era in balia di un nervosismo poco spiegabile che lo vedeva battibeccare contro Chiesa che intanto si stava dannando per vincere la partita.
Si fatica a capire cosa stesse pensando durante la punizione degli uomini di Conceicao in un gesto “tecnico” degno di leghe minori e non di una superstar da 31 milioni l’anno.
Cristiano Ronaldo è stato una scommessa persa, non per le sue prestazioni che, al di la di ieri, vedono l’ex Real fare più gol che partite, ma di scarsa gestione economica di una squadra italiana.
Marotta fece un miracolo nel comprarlo, Paratici e Nedved non hanno saputo gestire il bilancio a dovere. 31 milioni sono un’enormità e il sacrificio economico fatto ha portato la Juventus a vendere pezzi importanti (Cancelo su tutti) che hanno portato, conseguentemente, a scelte sbagliate che hanno reso la rosa piena di buchi.
Se hai un uomo, specie in epoca Covid, che grava a bilancio per più di 31 milioni di euro è inutile strapagare Ramsey e Rabiot, specie quando decidi di non prendere Haaland per l’ingaggio richiesto.
Paratici e Nedved non hanno saputo gestire il dopo Marotta, dimostrando come, in Italia, non esista una squadra che possa permettersi, senza problemi, l’acquisto di una superstar.
Ieri è stato il giorno in cui tutti i problemi sono venuti a galla: il giorno in cui si è capito che solo Chiesa è il vero insostituibile della rosa torinese, il giorno in cui si sono evidenziati i limiti gestionali di un allenatore non ancora pronto per essere tale ed il giorno in cui tutti i tifosi bianconeri hanno capito il valore e l’importanza di due fuoriclasse del calibro di Massimiliano Allegri e Beppe Marotta.
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