Stadiosport.it ha intervistato in esclusiva Massimo Palanca, ex attaccante di Catanzaro, Camerino, Frosinone, Napoli, Como e Foligno, definito come uno dei migliori piedi sinistri d’Europa negli anni ’70 e ’80
Come si è avvicinato al calcio il Massimo Palanca bambino?
P: “Io sono cresciuto in un campo sportivo. Mio padre era il custode del campo sportivo di Porto Recanati. Precedentemente inoltre lui e mio fratello avevano già giocato a calcio, era lo sport predestinato al mio futuro”.
Quale squadra tifava da ragazzino e chi era il suo idolo prediletto?
P: “Il mio idolo è stato da sempre Gigi Riva. Inizialmente da ragazzino, giocando con le figurine ero attirato dalla Juventus, poi dopo essere arrivato a certi livelli me ne sono allontanato e ho capito di aver fatto bene, non mi piaceva più la Juventus. Da bambino ero attratto da campioni come Sivori e Charles, i quali all’epoca andavano per la maggiore”.
Camerino, cosa ricorda di questa prima esperienza?
P: “Prima cominciai a giocare nel Porto Recanati, poi andai al Camerino voluto dal presidente di questa squadra. Durante quel periodo vivevo a casa sua, ma nel frattempo oltre a giocare a calcio , continuai a studiare. Iniziammo in Serie D, successivamente ci fu la retrocessione e disputai due campionati di Promozione. Ricordo ancora oggi i miei compagni di squadra del Camerino, sono stati fondamentali per la mia crescita. Li ringrazierò sempre e con qualcuno ancora mi vedo, quando c’è la possibilità si sta insieme. Dopo l’esperienza di Camerino andai al Frosinone”.
Quanto è stata importante Frosinone dal punto di vista della crescita calcistica?
P: “Esperienza fondamentale. Ricordo che il Frosinone militava in Serie C, nel girone C, praticamente quello più difficile. Infatti in tale girone militavano le squadre, siciliane, campane e calabresi. Qui c’è stata la mia formazione da calciatore, giocare in situazioni difficili ti fa crescere. Tra l’altro vinsi pure la classifica cannonieri con 18 gol”.
A Catanzaro ha avuto come allenatori Di Marzio, Mazzone e Burgnich, come li descriverebbe ?
P: “Io inizialmente non ero destinato al Catanzaro, ma alla Reggina, c’era già l’opzione di acquisto, ma avevo inserito una clausola. All’epoca la Reggina stava lottando per rimanere in Serie B, ma non ci riuscì e successivamente si fece sotto il Catanzaro, allenato da Di Marzio, con il quale lavorai per tre anni. All’epoca era un vulcano, giovane e con idee, ha fatto di tutto per arrivare a certi livelli, infatti successivamente è stato anche al Napoli. Il Catanzaro è stato molto importante, dal punto di vista formativo anche per lui. Carlo Mazzone per me è stato il miglior allenatore in circolazione finché è stato in attività. Era veramente un grande. Negli anni 70 non c’erano i mezzi tecnologici di oggi, eppure lui ogni domenica ci indicava le caratteristiche di ogni calciatore avversario. Non lasciava veramente nulla al caso, era molto preparato, veniva dalla gavetta e il calcio lo conosceva molto bene. Riusciva ad improvvisare e a cambiare, sapeva leggere le partite. Nelle grandi squadre con i campioni, l’allenatore deve essere più uno psicologo. Mazzone invece ha sempre allenato squadre che lottavano per non retrocedere, certo ha allenato anche club che lottavano per le zone alte della classifica, ma si trattava sempre di squadre non di primo livello. Qui si vede il valore dell’allenatore. Burgnich invece era il contrario di Mazzone, calmo, tranquillo, legato alle proprie idee conservatrici. Egli era abituato ad un gioco semplice, fatto di grinta, di attenzione, abnegazione e voglia. Questi sono gli elementi che si devono chiedere ad un calciatore”.
Com’è nata in lei la soluzione balistica di provare a segnare direttamente da calcio d’angolo?
P: “Era il modo naturale con cui calciavo. Fisicamente non ero molto prestante, perciò dovevo organizzarmi diversamente. Ho sempre considerato i calci da fermo una componente fondamentale del calcio, basta dire che mediamente il 40% dei gol in questo sport, si realizzano grazie ai calci da fermo e per questo mi allenavo molto”.
Roma-Catanzaro 1-3 del 1978/79, cosa prova ripensando a questa partita?
P: “E’ passato tanto tempo, ma l’immagine simbolo, rimasta nella mente dei tifosi del Catanzaro è la fotografia del tabellone dell’Olimpico, in cui appariva tre volte il cognome Palanca e una volta quello di Di Bartolomei. Ovviamente mi fece molto piacere, ricordo che Mazzone teneva molto a questa partita, essendo romano e desiderava incontrare la squadra della sua città, quel giorno lo rendemmo veramente felice”.
Lei venne convocato grazie alle brillanti prestazioni con il Catanzaro anche nella Nazionale sperimentale. Quali emozioni provò in quel momento?
P: “C’è stata veramente grande emozione. Nella mia carriera c’è stata un’escalation continua con i club, ma la Nazionale fu una grossa sorpresa, mi fece capire di aver fatto bene e lavorato come si deve negli anni precedenti. Speravo che fosse l’inizio, peccato che in quel periodo ci fosse gente più brava di me, quindi da questo punto di vista non ho nessun rimpianto”.
Napoli e Como, come giudica queste due esperienze ?
P: “Napoli è veramente l’unico rimpianto della mia carriera calcistica. Andai con grande voglia e stimoli molto alti. Poi non riuscì a dare quello che volevo per colpa degli infortuni, ma anche per incomprensioni e altre situazioni. Purtroppo non riuscì ad esprimermi al meglio, anche se devo dire che i napoletani sono sempre stati molto benevoli nei miei confronti. La stagione successiva andai a Como in Serie B con Burgnich allenatore, ma prima avrei dovuto trasferirmi all’Ascoli, allenato proprio da Carlo Mazzone. Fu proprio lui a chiamarmi una sera e a dirmi che mi voleva lì a giocare la Domenica successiva. Per me sarebbe stata una grande soddisfazione giocare nella squadra della mia regione, ma il giorno dopo mi richiamò, annunciando che la Fiorentina aveva regalato Monelli all’Ascoli del presidente Rozzi e non se ne fece più niente. Poi a Como l’esperienza fu un pò tribolata, riuscimmo ad arrivare agli spareggi per la promozione in A ma purtroppo non conquistammo la promozione. Successivamente tornai a Napoli, ma non c’erano più le condizioni per poter far bene”.
Lei ha giocato a Napoli con Ruud Krol, come lo descriverebbe come calciatore?
P: “Un esempio di professionalità, di classe e di eleganza, faceva impressione quando si allenava, noi distrutti e lui si fermava e proseguiva la parte atletica, sembrava non gli bastasse, assomigliava ad un grillo”.
Quanto è stato importante il Foligno dal punto di vista del rilancio?
P: “Dopo Napoli inspiegabilmente tutti si dimenticarono di me, non ricevetti una chiamata da nessuno, anche se la stagione precedente avevo giocato in Serie A. Nel mio pase d’origine, c’era il Foligno che d’estate faceva la preparazione, chiesi il permesso di allenarmi con loro. Poi da Novembre mi unì alla squadra e feci con loro un campionato e mezzo. Non mi sentivo finito, non volevo appendere le scarpe al chiodo e volevo ancora continuare a giocare”.
Nuovamente Catanzaro e Serie A sfiorata, che cosa è mancato alla squadra per la promozione?
P: “Catanzaro era l’unica piazza nella quale potevo rilanciarmi. Per la promozione sfiorata ci sono purtroppo stati molti e gravi errori arbitrali. Vincemmo il campionato di C e in Serie B con qualche piccolo innesto e con la forza dell’entusiasmo si rischiò di andare in Serie A. Disputammo comunque un ottimo campionato”.
Con quali compagni si sente ancora oggi quotidianamente?
P: “Addirittura ancora ci vediamo con gli ex compagni dei primi anni di Catanzaro come Ranieri, Braca, Banelli, Spelta, Novembre, Pellizzaro. Ci si incontra grazie alle mogli che tengono le fila di tutto. Passiamo insieme feste come il Capodanno, oppure ci incontriamo d’estate perché ognuno di noi ha legami con la Calabria”.
Si notava fin da giovane che Claudio Ranieri sarebbe diventato il grande allenatore che è oggi?
P: “Da giovane no, era uno scavezzacollo, nessuno di noi pensava questo per lui, ma a quell’età uno pensa a godersi il momento e non il futuro . Verso la parte finale della sua carriera si notava che poteva diventare allenatore”.
Cosa ne pensa dell’idea di Roberto Valentino, di richiamare alla mente gli anni 70, rigiocando i campionati virtuali?
P: ” Appoggio pienamente tale progetto. La maggior parte degli sportivi è legata a quegli anni, rispetto a quelli attuali. Ci sono calciatori entrati nella fantasia dei tifosi, vuoi perché non c’era molta possibilità di vederli giocare ed erano molto bravi. Era un calcio più lento, ma più passionale e tecnico. Oggi si corre tanto, ma se analizziamo a livello tecnico è un calcio veramente carente. Campioni come Rivera e Maradona potevano adeguarsi a qualsiasi tipo di gioco, facendo la differenza. Oggi ci sono troppi personaggi che parlano e non sanno quello che dicono. Io seguo soprattutto la Nazionale o qualche gara internazionale, altrimenti non mi piace guardare questo calcio”.
Luca Meringolo © Stadio Sport
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