Esclusiva – De Biasi: “Vi racconto la mia carriera dal Brescia di Baggio e Torino a ct di Albania e Azerbaijan”

Gianni De Biasi, CT dell’Azerbaigian, ha raccontato del suo passato da calciatore e del suo presente da allenatore, oltre ad esprimere la sua opinione sulla lotta scudetto tra Napoli, Milan, Juventus e Inter in esclusiva ai microfoni di StadioSport.it.

Gianni De Biasi, ex centrocampista e ora all’allenatore dell’Azerbaigian, ci racconta della sua carriera, prima da calciatore e successivamente da allenatore, oltre ad esprimere un suo parere sulla corsa scudetto, relativa al Campionato di Serie A 2022/23.

Come si è avvicinato al calcio Gianni De Biasi?

D: “Come tutti i bambini innamorati di questa palla che rotola. Mi sono accorto, giocando con i miei amici all’oratorio, che ero un po’ più bravino degli altri, anche perché me lo dicevano loro. E’ stato un qualcosa di quasi naturale”.

Da Ragazzino chi era il suo idolo?

D: “Mi ricordo che all’epoca mi piaceva Sivori, al di là del fatto che fosse della Juventus o meno. Era un giocatore molto estroso che mi dava qualche brivido in più degli altri”.

Lei, dopo l’esperienza alla Reggiana, debutta in Serie A con la maglia del Pescara. Che cosa le rimane di questa stagione?

D: “E’ stata un’esperienza bellissima. Esordisco in Serie A a 20 anni più o meno, con un allenatore che stimavo moltissimo. Una persona di grandissima cultura che si chiamava Giancarlo Cadè. Era la prima volta del Pescara in Serie A nella storia, e abbiamo vissuto un’annata con una retrocessione senza grandi drammi. Giocavamo bene, ma non riuscivamo a concretizzare quello che la squadra produceva in campo, nonostante le prestazioni discrete e quasi buone”.

Quella è la Serie A del “Miracolo” Vicenza e dell’esplosione di Paolo Rossi…

D: Sì, fu proprio quell’annata. Io ho esordito a Vicenza, 0-0 e rischiai anche di segnare, ma purtroppo non ci sono riuscito. Mi ricordo benissimo di Paolo Rossi, quando giocai contro di lui. Giocatore mingherlino nell’aspetto, ma dall’esplosività pazzesca”.

Quella Serie A era ricca di grandissimi Campioni (Zoff, Gentile, Cabrini, Scirea, Causio, Rivera Facchetti, Rossi, Graziani, Pulici, ecc). Chi fu ad impressionarla, particolarmente, da avversario ?

D: “Rivera sicuramente, perché al di là delle qualità tecniche che conoscevamo, mi impressionava per la capacità di smarcamento che aveva in mezzo al campo. Io marcavo lui e ricordo che cercavo di stargli il più vicino possibile, ma lui aveva sempre la capacità di contromovimento di fintare di andare da una parte. Si prendeva sempre quel metro e mezzo, che gli serviva per prendere palla e giocarla, e spesso la giocava di prima e per me diventava impossibile poterlo contrastare”.

Palermo, Treviso, Vicenza e Bassano, cosa le hanno lasciamo come esperienza queste piazze?

D: “Ognuna mi ha lasciato un’esperienza formativa. Quando sei giovane magari non ti rendi conto della fortuna che hai, nel vivere emozioni e situazioni, che poi ti aiutano nella vita di tutti i giorni. Per me il calcio è stato oltre ad una palestra di vita, un’esperienza formativa nei confronti della relazione”.

Successivamente si ritira e passa dall’altra parte del campo. Cosa ha provato nell’allenare le giovanili del Bassano e del Vicenza?

D: “Per me sono stati percorsi fondamentali. Ti avvicini pian piano al mestiere dell’allenatore con gradualità, senza bruciare troppo le tappe. Sono passaggi che aiutano nella crescita personale. Queste due esperienze mi sono servite molto per quel che riguarda la gestione del gruppo, che non è così automatica quando si passa dall’altra parte della barricata, rispetto al periodo in cui sei un calciatore di spicco all’interno di uno spogliatoio”.

Possiamo dire che la svolta professionale di De Biasi vi è sulla panchina della Spal ?

D: “Si, lì a Ferrara vinco il mio primo Campionato e la Coppa Italia. Successivamente andai a Cosenza e credo che fu una scelta sbagliata a posteriori, perché non c’erano possibilità di investimenti. Potevo fare sicuramente una scelta diversa, rispetto a quelle due stagioni a Ferrara”.

Se le dico Modena che cosa le viene in mente?

D: “Rinascita dopo la delusione di Cosenza e dopo l’esperienza gioiosa di Ferrara, ma che per me ha significato anche esonero. Potevo rimanere alla Spal, perché avevo ancora un altro anno di contratto, ma il presidente dell’epoca Donigaglia ha pensato di esonerarmi. Successivamente sono andato a Modena e in tre anni ho fatto quello che avrei potuto fare a Ferrara, se avessero avuto la pazienza, la quale purtroppo non fa parte del mondo del calcio”.

Lei debutta nella Serie A delle 7 Sorelle e in quella stagione Milan, Juventus e Inter disputano le semifinali di Champions League, quindi un campionato di altissimo livello…

D: “Sì, di altissimo livello e in più il Modena, da squadra neopromossa, è riuscita a ritagliarsi delle soddisfazioni enormi, come la vittoria a Roma, contro la Roma di Totti e di Capello, vincendo alla seconda di campionato. In realtà era la terza giornata, ma la prima giornata slittò. Chiudemmo il campionato con la salvezza, che era la massima aspirazione della società”.

Cosa ha significato per lei allenare un fuoriclasse come Roberto Baggio, nell’esperienza a Brescia?

D: “Dopo aver conquistato 2 campionati e una salvezza a Modena, sono andato ad allenare il Brescia, club che poteva avere anche altre ambizioni. Sono andato ad allenare lì perché volevo chiudere a Modena. Mi sembrava giusto e naturale chiudere un ciclo di 3 anni e mezzo. In più al Brescia c’era Roby, il quale è stato uno dei più grandi calciatori che abbiamo avuto in Italia”.

Il Torino e Urbano Cairo, cosa hanno rappresentato per lei queste due entità?

D: “Un grandissimo stimolo, perché Torino è una piazza sicuramente stimolante. E’ stato un arricchimento professionale condito da una vittoria e due salvezze consecutive. Al quarto tentativo sono stato mandato via e casualmente la squadra retrocesse. Purtroppo capita, ognuno è libero di scegliersi il destino che meglio crede”.

Possiamo dire che un’altra svolta professionale della sua carriera è stata l’esperienza sulla panchina dell’Albania? Che cosa ha significato per lei approcciarsi all’estero?

D: “Ha rappresentato uno stimolo enorme e uno spirito di rivincita verso il calcio italiano che mi aveva esonerato dopo meno di due mesi ad Udine. Avevo una voglia di rivincita pazzesca e devo dire che mi sono tolto delle grandi soddisfazioni in quei 5 anni e mezzo in Albania. Portarli all’Europeo è stato qualcosa di fantastico e di impensabile alla vigilia, ma noi ci credemmo fin da subito e ci siamo arrivati con merito”.

Tra l’altro il 7/9/2014 accade qualcosa di importante…

D: “Battiamo il Portogallo, in trasferta per 0-1. Partita in cui subimmo molto, ma avevamo la capacità di ripartire, oltre che a difenderci. Questo ci ha consentito di vincere contro un avversario che era sicuramente superiore a noi”.

Inoltre quel Portogallo conquistò quell’Europeo, quindi la vittoria vale il doppio…

D: “Esonerando l’allenatore dell’epoca e cominciando l’era di Fernando Santos. Quando egli lo scorso anno venne a Baku a giocare con il Portogallo, gli dissi che non mi aveva ancora portato una bottiglia di Porto, nonostante fosse per merito mio che lui allenasse il Portogallo”.

Quella qualificazione ha rappresentato una svolta per il movimento calcistico dell’Albania?

D: “Sì e non credo che sia nemmeno un caso che tanti albanesi giochino nel campionato di Serie A, con successo. E’ stata sicuramente una spinta a tutto il movimento e questo mi fa un grande piacere”.

In Albania riceve anche dei riconoscimenti importanti: La Cittadinanza Onoraria per meriti Sportivi portati alla Nazione, La Laurea Honoris Causa in Scienze Sociali e Cavaliere dell’ordine della Stella d’Italia. Cosa hanno significato per lei questi riconoscimenti?

D: “Ho ricevuto anche la medaglia del Cavaliere della Croce di Skanderbeg, la quale è la massima onorificenza della Repubblica Albanese. E’ stata la massima gratificazione che io potessi avere. La Laurea Honoris Causa per me è la cosa più bella, anche perché la Laurea mi mancava, ma mi è arrivata in questa maniera. Intrapresi il percorso in Giurisprudenza, ma non riuscì a completare il percosso di studi, ma sono felice che essa mi sia stata riconosciuta a posteriori. Sono tutti grandi riconoscimenti che mi danno grandi soddisfazioni. E’ stato anche bello essere premiato da Mattarella”.

Cosa si prova ad affrontare l’Italia da avversario?

D: “E’ una sensazione particolare, ma quando indossi un’altra maglia devi fare di tutto per vincere. Ho cercato di batter l’Italia ma non ci sono riuscito”.

Dal 2020 lei allena l’Azerbaigian. Che bilancio fa di questi primi 3 anni?

D: “Ci sono stati dei problemi iniziali, perché c’era da rigenerare una mentalità. Ultimamente abbiamo vinto tutte le partite e spero di poter continuare così. Abbiamo un girone di Qualificazione All’Europeo quasi impossibile per noi, con Belgio, Austria e Svezia. Noi siamo la quarta forza, con l’Estonia che è più o meno al nostro livello. Il girone è difficilissimo, ma io non mi do mai per vinto, prima di giocarmi tutte le chance che ho”.

Secondo la sua opinione, perché il Calcio Italiano, tranne le parentesi Europeo e Conference League, da più di 10 anni, sta attraversando questo momento terribile?

D: “Il discorso è lunghissimo. Credo ci sia la necessità di rigenerare a livello di mentalità tutto quello che parte dal settore giovanile, che non deve far leva solo sull’aspetto tecnico-tattico o sull’aspetto della crescita solo calcistica. Bisogna creare una mentalità in cui i ragazzi hanno voglia di mettersi in discussione, ritrovando la gioia del far fatica”.

Lei ha giocato come centrocampista. Come si è evoluto il calcio e in particolare questo ruolo?

D: “E’ cambiato completamente, per lo spazio e per le possibilità d’interpretazione del ruolo. Una volta si giocava praticamente 1 contro 1. Se saltavi il tuo avversario poi c’era solo il Libero. Oggi c’è un’organizzazione completamente diversa. C’è densità maggiore dove c’è la palla e devi essere bravo ad addomesticarla in fretta, in modo da distribuirla con velocità”.

Da quando ha cominciato a seguire il calcio, quale calciatore l’ha più impressionata nel corso della sua carriera?

D: “E’ difficilissimo fare una graduatoria dei nomi che diciamo praticamente da sempre. Io ne ho visti tanti calciatori, in campo e poi dalla panchina. Se fai il nome di uno fai dispetto all’altro. Non mi sento di farlo, anche perché mi sembra antipatico. Tanti calciatori sono straordinari per il contesto in cui hanno giocato e per quanto tempo sono andati avanti ad alto livello. Non è facile mantenersi a livelli altissimi, anche se sei un talento straordinario, specialmente al giorno d’oggi”.

Come si è ritrovato nel ruolo di commentatore tecnico?

D: “Mi sono trovato a mio agio, perché questo è il mio mondo e preferisco commentare gli aspetti tecnico-tattici della partita. Mi piace dare giudizi sui calciatori e sulle mosse che fanno anche i miei colleghi. E’ sicuramente molto più rilassante che fare l’allenatore in campo”.

Come vede questa lotta Scudetto in Italia ?

D: “Credo che Napoli, Milan, Inter e Juventus siano le quattro papabili per la vittoria dello Scudetto. La vittoria di ieri sera dell’Inter rimette più in discussione l’egemonia del Napoli. Sarà molto più divertente per gli appassionati seguire un campionato ancora aperto e non chiuso a Gennaio”.

Cosa ne pensa del progetto di Roberto Valentino, del voler riproporre il calcio del passato attraverso il virtuale?

D: “Credo che sia un’idea molto bella, la quale ha una vena di romanticismo per tutti gli innamorati del calcio. E’ sicuramente un prodotto che trova la sua collocazione nel panorama calcistico degli appassionati”.

Quale consiglio darebbe ai giovani che voglio approcciarsi al mondo dello sport?

D: “Di fare sport e di pensare che, nella vita il destino lo gestiamo noi con le nostre mani e con la nostra forza di volontà, al di là del talento che madre natura ti ha messo a disposizione”.

Luca Meringolo © Stadio Sport

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